4 Settembre 2015

Uomini che coprono le donne

By Cristiano Degni

La condizione femminile nel territorio della Repubblica Araba di Siria prima della guerra civile era assolutamente di riguardo. E’ necessario comunque dividere qualsiasi ragionamento in merito alla sorte delle donne tra la condizione e la qualità femminile in pubblico e quella che avviene all’interno dei nuclei familiari, dove ogni indagine diretta ed oggettiva è assolutamente preclusa. La legge consentiva il diritto di voto e l’accesso alle cariche pubbliche ma la vera svolta arriva con al Costituzione del 1970 che rende possibile una presenza femminile massiccia ad ogni livello, agricoltura compresa, con punte insperate nell’insegnamento e nella sanità, magistratura e professioni liberali. Prima della guerra civile la metà dei laureati delle università siriane sono donne. La capitale dells Siria, Damasco, è sempre stata una città particolare e mi ha sempre ricordato la Gerusalemme disegnata nella mitologia e nei racconti di qualche scrittore di avventure, il coacervo delle grandi religioni monoteiste dove la convivenza tra credo diversi e usi , costumi e culture era possibile senza grandi limitazioni ma soprattutto senza creare problemi che non potessero essere controllati. Lo sviluppo di una pacifica convivenza ha potuto dare i frutti che la cultura dell’accettazione sa offrire. Oggi Damasco è disegnata su un altro quadro. Passare da un momento in cui per firmare un contratto di lavoro le firme delle donne devono essere due contro l’unica di un uomo al manifesto lanciato dall’IS, scritto peraltro in inglese, dove si dettano le condizioni della libera circolazione delle donne in tutto lo Stato il salto sembra brevissimo. E proprio il manifesto, intitolato “Donne dello Stato Islamico”, è considerato il testo fondamentale per capire come le donne debbano condurre la loro vita nello Stato Islamico, quale sia il loro codice di comportamento e fondamentalmente quale sia il ruolo che la società imposta dall’IS assegni loro. Senza copiare alla lettera il documento, reperibile anche sui siti internet che parlano di questo argomento, è fondamentale tracciare un perimetro. Le donne possono sposarsi a partire dai nove anni e raggiungono la maturità intorno ai sedici. Il lavoro corrompe l’anima delle donne che fondamentalmente se ne dovrebbero astenere, vanificando tutto l’opera di formazione culturale e fondamentalmente di emancipazione che si è andata dipanando negli ultimi cinquant’anni. Le prescrizioni riguardano, come si può ben immaginare, anche il modo di vestirsi e come circolare in pubblico. Importante è essere sempre con il volto coperto da un velo a volte anche multistrato. In giro si va soltanto con indosso lo abaya che non è un vestito in senso stretto. Si tratta piuttosto di un camice nero, di tessuto leggero o leggerissimo, che vela tutto il copro coprendo gli biti che possono indossarsi liberamente solo in casa propria. Anche le mani devono essere coperte da guanti. In giro si va in compagnia del proprio marito o in mancanza di questo del mahram, figura che corrisponde a quella di un uomo con il quale si hanno vincoli di sangue o addirittura come dice la regola coranica di allattamento. Rientrano in questa categoria che va considerata secondo la legge non dal punto di vista femminile ma da quello maschile, sua madre, sua nonna, figlia, nipote, sorella, zia, nipote nel senso di figlia di suo fratello o sorella, la moglie di suo padre, la figlia di sua moglie, la suocera, la sua madre adottiva cioè quella che lo ha allattato, le sorelle allattate dalla stessa donna. Il problema non è la limitazione di movimento della donna ma la sua marginalizzazione, il suo essere ricacciato all’esterno di nuclei sociali nei quali con il tempo e negli ultimi cinquant’anni aveva acquisito posizioni sempre più da protagonista. Non era difficile trovare, soprattutto a Damasco ma anche nelle altre grandi città, donne in gruppo sedute ai tavolini di qualche bar o ritrovo pubblico, intente a fumare, vestite alla moda occidentale e impegnate in un lavoro che se non è la fonte di reddito principale per la loro famiglia sicuramente assicurava loro indipendenza e una posizione di rilievo all’interno della società. Oggi le donne siriane sono costrette ad abdicare alla volontà degli uomini che le circondano, ad assentire ad ogni pretesa dei loro stessi fratelli, anche più piccoli, a subire discriminazioni nei pochi casi nei quali a loro è ancora consentito di lavorare. Non esiste più, almeno in maniera palese, un movimento per i diritti e l’emancipazione femminile, per portare ad un livello minimo le libertà di chi non ha la possibilità di nascere uomo. Il vestito neo omologa, toglie identità, spersonalizza, rende la donna funzionale ad un disegno di controllo dell’intera società eliminando alla radice ogni possibilità creativa ed effervescente, tipica del contributo che le donne hanno sempre saputo dare, da protagoniste, nell’arte, nella cultura, nel mondo del lavoro e nella scienza. Alcune di loro hanno trovato modo di affermarsi, e scrivo questo in maniera paradossale, partecipando con autorità alla repressione delle altre. Parlo delle donne componenti la brigata Al-Khansa, formata anche da molte donne inglesi immigrate a questo scopo, che a Raqqua si occupa della vigilanza del comportamento delle altre donne. Oggi in Siria una donna conoscerà il proprio marito solo il giorno del matrimonio, per il resto dei suoi giorni a vegliare su di lei e sul suo modo di osservare la legge coranica ci penserà l’Hisbah, la polizia religiosa.